di Titti Casiello
“Prima ho iniziato a fare il macellaio e poi sono nato” inizia così la storia di Gildo Murgia, macellaio in quel di Ghilarza, in provincia di Oristano, durante uno degli incontri tenuti dal prof. Rubino nell’ambito del nuovo progetto affidato alla sua Associazione (Anfosc) “Progettare la qualità di carni e formaggi a partire dall’alimentazione degli animali al pascolo”. Un progetto che mira a fornire competenze ai produttori per migliorare la qualità aromatica e nutrizionale dei prodotti e offrire ai consumatori strumenti per riconoscere il valore del cibo, promosso da Laore Sardegna, l’Agenzia di sviluppo rurale della Sardegna, nell’ambito di una Misura 1 del PSR.
“Quando eravamo piccoli mio padre mi costruì un piccolo tagliere, lo ascoltavo e cercavo di imitarlo” con le sue abilità che crescevano di pari passo con la statura, “l’insegnamento più grande che mi ha lasciato è stato il rispetto che deve esserci per l’animale, un rapporto di serenità tra lui e l’uomo, è questo il segreto per avere una buona carne”.
Ma di cose Gildo dal ’54 Gildo ne ha imparate e come ponendo sempre al centro del suo lavoro la qualità della materia prima e imparando sul campo come riconoscerla.
Quello stesso lavoro che oggi Rubino, insieme al suo gruppo di lavoro, prova a mettere in atto per tutti gli allevatori del luogo “in un contesto come quello sardo innovare significa mantenere al centro la qualità del prodotto, offendo ai produttori e ai consumatori gli strumenti per saperla riconoscere”.
Anfosc lo fa attraverso seminari, divulgazioni e continue degustazioni pratiche tese ad offrire agli avventori le coordinate per riconoscere la qualità di un cibo, e a suo modo lo fa anche Gildo con la sua macelleria, attraverso un fare certosino e attento coi suoi clienti che mira a ricercare quelle stesse coordinate.
-
Dove viene allevato l’animale
Per cercarle lo Zenith, come per Rubino tanto per Gildo, il punto di partenza è sempre lo stesso: “gli animali devono essere liberi di pascolare tra erba, fiori e frutta”.
Gildo, infatti, spiega che quanta più varietà c’è nell’alimentazione tanto maggiore sarà la qualità delle loro carni, “ma è anche necessario che non ci siano troppi capi a pascolare in uno stesso terreno, perché altrimenti per procacciarsi cibo tenderanno a muoversi di più e la loro massa grassa per l’effetto diminuirà”.
Per la sua macelleria, allora, compra solo carni da allevatori che seguono questi principi “e quelli della zona li conosco tutti”, ma comunque anche se non ci andasse sarebbe in grado di riconoscere la vita di un animale solo guardando una sua fettina di carne e stilando la sua carta di identità.
-
Le coordinate da seguire alla ricerca della qualità
La vista
“Dal colore mi accorgo subito se l’animale ha mangiato erba fresca e se ha avuto spazio sufficiente per pascolare”.
Due i colori guida da seguire: il giallo e il rosso, con il grasso che “più è giallo è più sono certo della corretta alimentazione dell’animale”.
L’intensità cromatica è, infatti, determinata dalla presenza di una alta carica di betacarotene che solo gli animali che hanno mangiato erba fresca sono in grado di assorbire “e poi più c’è grasso attorno alla carne più significa che l’animale si è mosso poco”.
Gildo abbatte, poi, il più grande luogo comune “la carne non deve essere mai rosa, ma rossa”. È questo il colore che diventa l’indicatore di un’alimentazione sana “e se gli animali mangiano erba la carne sarà più scura e più ricca anche di metaboliti” ovverosia i responsabili principali del gusto, precisa Rubino durante l’incontro.
Così nella sua macelleria prova a diffondere il verbo rifiutandosi, ad esempio, di vendere alle neomamme il vitellino bianco “continuano a dirmi che fa bene ai bambini, mentre, nei fatti, è, invece, una carne anemica, priva di ferro, con gli animali tenuti nei box e nutriti con latte in polvere”.
L’odore
“Ma questi sono gli effetti distorti del mercato” per questo tutto quello che di vero sa prova a trasferirlo ai suoi clienti, e prima di battere lo scontrino, allora, li invita a toccare le carni che hanno scelto “manipolando il grasso si sprigionano odori più o meno intensi, e se questi sono sgradevoli significa che l’animale è stato alimentato solo con mangimi”.
Gildo ancora se lo ricorda, infatti, quell’odore quasi di pesce che sentiva negli anni ’70 in tanti pezzi di carne “è stato uno dei periodi peggiori dell’industria alimentare, il bestiame veniva nutrito con farine fatte di scarti di qualsiasi genere”, ma il consumatore di tutto ciò non ne ha mai saputo nulla, ed è per questo che considera quasi “salvifico” il periodo della mucca pazza che sconvolse il mercato agli inizi degli anni 2000 “perché così almeno ci ha aperto gli occhi”.
E lui oggi prova a tenerli vigili per tutti i suoi clienti, lo fa anche attraverso un gruppo WhatsApp che tiene costantemente attivo “invio le foto degli animali, preciso da dove provengono, il tempo di frollatura, l’età dell’animale e il nome dell’allevatore”.
Il fattore umano è, infatti, secondo lui imprescindibile “un allevatore calmo e tranquillo, che allozingari l’animale” cioè che sappia coccolarlo e massaggiarlo come si dice in sardo, “affinché non si stressi è determinante per la qualità di una carne”.
“I giapponesi si sono inventati questi massaggi per la razza Kobe e oggi quella carne è diventata la più costosa al mondo, ma noi in Sardegna l’abbiamo sempre fatto”, così come gli allevatori del posto hanno sempre “cantato” per i loro animali attraverso suoni, incomprensibili per i passanti, ma che diventano melodia, invece, per il bestiame “è musica per loro e in questo modo si rilassano”.
Tutto trova, allora, un senso per garantire il benessere dell’animale e non è un caso, che Gildo pur avendo una macelleria, non pronuncia mai il termine macellare, parla, invece, di sacrificio, “serve rispetto per l’animale anche nella fase di stordimento”.
Un atteggiamento, il suo, non solo etico, ma che a che fare anche con la buona riuscita della carne “se l’animale si agita produce acido lattico e in questo modo consuma quella riserva di zuccheri che è fondamentale invece per la conservazione della carne dopo la sacrificazione”.
Il tatto
La rigidità dell’animale si distenda gradualmente dopo il suo sacrificio e da qui inizia il delicato processo di frollatura, con le carni che vengono conservate a zero gradi e un tasso medio di umidità al 75% per un minimo di 10 a un massimo di 30 giorni “in questo modo gli enzimi agiscono sulla fibra rendendola più tenera”.
“Oltre i 30 giorni diventa stagionatura ed è un procedimento ancora più articolato oltre che antieconomico visto che si verifica un calo di peso considerevole”.
A questo punto tutto dipende da un ultimo passaggio che spetta alle mani sapienti di Gildo “il taglio deve essere sempre fatto perpendicolare alla fibra, in questo modo la carne è più morbida permettendoci di masticare anche meno”
Il gusto
Tutto quanto reso possibile dalla natura e dall’uomo sembra allora essere stato fatto per assicurare le coordinate del gusto, ma in macelleria Gildo dà anche le istruzioni per l’uso per non perdere il piacere del buon mangiare.
“I tagli anteriori sono ricchi di tessuto connettivo, soprattutto di collagene, mentre le cosce o la schiena ne hanno di meno, questo non significa che uno sia più buono dell’altro, ma quello che è importante è rispettare una diversa cottura”.
“Se si cuoce a 150 gradi una carne con un alto tessuto connettivo, come lo stinco o il cappello del prete, diventa immasticabile; è necessario, invece, una lunga cottura che sciolga lentamente i tessuti, lubrificando la fibra”.
La costata, la fiorentina, lo scammone o il codone necessitano, invece, di cotture veloci. “Molti, poi, usano la padella antiaderente per la famosa fettina di carne, ma è sbagliato, l’anti aderenza tira fuori tutti i succhi della carne rendendola dura e immasticabile”.
Una padella in ghisa o in acciaio assicura, invece, la cottura perfetta per le carni con un basso tessuto connettivo “e non bisogna girarla di continuo, la carne si deve staccare da sola, in questo modo resterà con la crosticina all’esterno e all’interno resterà morbida”.
E’ l’effetto della reazione di Maillard che Gildo sa bene, e nelle sue parole mescola di continuo elementi di chimica a nozioni pratiche per chi, come lui, conosce alla perfezione storia, qualità e proprietà di ogni singolo prodotto che espone nel proprio banco di vendita.