Francesco Tiezzi, Università di Firenze
Se ne sente sempre più parlare, gli allevamenti inquinano. Negli ultimi anni sono gli allevamenti di bovini ad essere considerati i più inquinanti, per la produzione di metano da parte del rumine (e la sua microflora), che ha un forte impatto sui cambiamenti climatici. Fino a qualche anno fa, si parlava molto dell’impatto degli allevamenti suinicoli e avicoli, in quanto immettono nell’ambiente grandi quantità di azoto e fosforo che poi vanno ad inquinare le acque.
Soffermandoci proprio sull’eccesso di azoto e fosforo, vorrei portare la vostra attenzione su un paio di notizie recenti.
Un po’ di tempo fa, un mio amico allevatore di pecore da latte mi manda il link a un articolo, dove si decantavano le lodi di un nuovo processo grazie al quale si potrebbe trasformare la lana in fertilizzante azotato. Ciò mi ha reso molto felice, dato che gli allevatori potrebbero così guadagnare qualche soldo vendendo la lana piuttosto che pagare per smaltirla.
Negli stessi giorni, vedo un articolo su una rivista di suinicoltura americana in cui, ancora, si decantavano le lodi di un sistema industriale che trasformasse i liquami suini in fertilizzante secco e quindi facilmente trasportabile. Anche questo mi rende molto felice, visto che la gestione dei reflui suini con le lagune spesso presenta delle “falle”.
In entrambi gli articoli, si leggeva più o meno esplicitamente che grazie a queste nuove tecnologie si sarebbe riusciti a trasformare un rifiuto in una risorsa. Non c’è che da esserne felici (del resto, lo stesso è successo con gli impianti a biogas e l’intrappolamento del metano prodotto).
Però, come sempre bisognerebbe soffermarsi un attimo a ragionare per capire se davvero questa sia una novità.
Di certo viene presentata come tale, ma basta avere un po’ di esperienza bucolica per sapere che la lana (anche quella italiana) è stata tutt’altro che un rifiuto per secoli, così come le deiezioni animali erano e sono un’importante risorsa in molti sistemi agricoli. La lana era uno dei pochi materiali tessili dove le piante da fibra (cotone, canapa) non potessero essere coltivate, così come le deiezioni animali erano l’unico fertilizzare prima dell’arrivo dei concimi minerali o di sintesi. Già erano una risorsa secoli fa, e magari avevano cessato di esserlo ad un certo punto ed un certo contesto.
Tale punto e contesto potrebbe essere la Rivoluzione Verde, arrivata dai noi nel secondo dopoguerra. Le fibre vegetali (e poi sintetiche) hanno sostituito la lana e i concimi minerali (di sintesi o da estrazione dal sottosuolo) hanno sostituito il letame. Gli allevamenti si sono specializzati in produzione di latte o carne o uova, tralasciando l’importanza della fibra tessile animale o, ancor di più, delle deiezioni animali. In questo contesto tralasceremo il processo che ha portato a tale specializzazione degli allevamenti perché è stato abbastanza complesso. Ma il confronto tra le aziende poderali di cento anni fa e le aziende specializzate di oggi mostra chiaramente quanto le seconde siano specializzate nel fornire un singolo prodotto rispetto alle prime, tanto da considerare come un rifiuto tutto ciò che non sia il prodotto principale (pensiamo anche alla produzione di carne in tante aziende da latte, sia bovine, bufaline o ovi-caprine).
Siccome purtroppo gli animali continuano, e continueranno, a produrre deiezioni e lana, viene da sé che la mancata remunerazione di prodotto comporti un certo approccio da parte dell’allevatore, di cui è difficile biasimarlo: liberarsene nel modo più economico possibile.
Però si capisce come l’impatto ambientale degli allevamenti non sia tanto una componente intrinseca a questi. Quello che oggi va a inquinare, un tempo era una risorsa di inestimabile valore. Quello che ha portato gli allevamenti a ‘inquinare’ sembra più la mancata remunerazione per la produzione di tutto quello che non sia latte, carne o uova.
La conferma di ciò è stata data negli ultimi tempi, quando gli alti costi energetici hanno reso inaccessibili i concimi di sintesi, facendo tornare le deiezioni animali sul mercato come valido fertilizzante. Ora che qualcuno potrebbe addirittura pagare per avere tali liquami sparsi nei propri campi, anche l’allevatore meno attento all’ambiente potrebbe guardarsi bene dallo smaltire i liquami nel modo più economico possibile.
Quindi, sembra essere il mercato a determinare le sorti delle deiezioni, più che l’allevatore. Se qualcuno si mettesse davvero a pagare le deiezioni, credo proprio che nessun allevatore si metterebbe a sprecarne nemmeno una secchiata. Un mercato delle deiezioni come fertilizzante potrebbe avere degli impatti positivi ben più di quanto tutte le leggi e direttive nitrati abbiano avuto in decenni.
La mia, ovviamente, è solamente una ipotesi.
Tornando alla nostra “innovazione” dei fertilizzanti prodotti dalla lana e dalle deiezioni grazie a dei nuovi macchinari, ecco che la tecnologia si pone come necessaria alla risoluzione dei problemi: solo con i nuovi macchinari, liquame e lana possono essere trasformati in pellet di materiale facilmente degradabile nel terreno. Senza tale tecnologia, siamo con il problema ancora da risolvere (ripeto, tralasciamo il fatto che tale “problema” sia tale da solo 60 anni).
Invece, grazie alla tecnologia si crea un mercato che permette all’allevatore di essere remunerato (anche) per la vendita di uno scarto. Chissà, se davvero ciò non risolva i problemi di impatto ambientale meglio di quanto lo abbiano fatto le leggi ambientali, ovvero la politica.
Qui, permettetemi di fare una citazione al di fuori delle scienze agrarie. Ascoltando il prof. Umberto Galimberti e nella sua critica alla Società della Tecnica, lo si sente spesso dire “nella Società della Tecnica la politica non ha più potere decisionale, ma si rimette all’economia, la quale però non può niente senza la tecnica”.
Il che dovrebbe risuonare in questo articolo. L’agricoltura, come tanti altri settori, sembra essere regolata da leggi scritte dai politici o dettate dai mercati, anche se in realtà siamo ad aspettare che la prossima innovazione tecnologica ci salvi. Nel frattempo, ci scordiamo il perché si produca cibo e, peggio ancora, disimpariamo come valutarne la qualità.
Che Dio ce la mandi buona, la tecnologia!
Sull’argomento:
https://www.pbsnc.org/blogs/science/exporting-poop-for-profit-could-help-farmers-and-the-environment/?fbclid=IwAR2GE_qgOswguoyfBQWwJqC2VSPtD-kfcXnk9vSfDgIBJ3sdq8twrJ4StAA
Con l’aiuto dell’industria il liquame da problema diventa risorsa
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http://www.qualeformaggio.it/scienza-e-cultura/24094-da-rifiuto-speciale-a-fertilizzante-la-nuova-filiera-della-lana-in-italia/?fbclid=IwAR21CodpCJ56DE-1QZ5rTrqUGt99hQFwveqA7CuHwAz-bRzxfeQQdFekd9Q